giovedì 6 novembre 2008


Il rapporto tra i Democratici e il Partito Democratico

Pubblichiamo la recensione al libro di Lance Selfa, "The Democrats: A Critical History". L'autrice ci spiega come il Partito Democratico non possa essere il motore di nessun cambiamento reale e analizza storicamente il rapporto fallimentare tra Democrats e Working Class.
La recensione risale a un mese fa, ma è ancora attuale. Ci auguriamo che Obama possa smentire questo libro.

Tra meno di un mese ci saranno le elezioni americane e Lance Selfa ha lanciato un libro intitolato “The Democrats: A Critical History” (I Democratici: una storia critica) che affronta criticamente la questione del “cambiamento reale”.
Il Partito Democratico ha costituito per il movimento dei lavoratori un ostacolo decisivo sin dal lontano 1890, in occasione dell’emersione del Movimento Populista.

Selfa racconta l’ascesa di Obama a partire dai fatti del 9/11, durante gli otto anni di Bush e del collasso del Partito Repubblicano. Mette l’accento sulla natura di classe del Partito Democratico, un partito che a differenza di altri partiti nel resto del mondo da più peso alla piattaforma che al candidato. Dimostra che il Partito Democratico è un partito capitalistico, e spiega nei dettagli da chi i suoi membri ricevono fondi, da quali think-thank prendono consigli, con chi organizzano le loro campagne, infine cita le loro opinioni in materia legislativa e di politica estera.

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sabato 1 novembre 2008

Il Diritto alla città, alcuni appunti

Presentiamo un resumè dell’articolo di David Harvey apparso su New Left Review 53 (Settembre-Ottobre 2008)

David Harvey ha compiuto uno studio sull’urbanizzazione relazionata al processo di accumulazione e ne ha analizzato gli sviluppi sotto il capitalismo. La prima domanda che si pone è: “ha l’urbanizzazione contribuito al benessere umano?”. Risponde a questa domanda con le parole del sociologo Robert Park, il quale considera la città il più grande successo dell’uomo nel modellare il mondo in cui vive. Ma al contempo la città è a anche il luogo in cui l’uomo è costretto a vivere, per cui ne è modellato. Ne deriva che “la città che vogliamo” non puo' prescindere dalla questione dei legami sociali (relazione che riguarda la natura, lo stile di vita, la tecnologia, i valori estetici). Il “diritto alla città è più di una libertà individuale ad accedere alle risorse offerte dall’urbe: è il diritto di cambiare noi stessi attraverso il cambiamento della città”. E' un diritto comune ancor più che individuale perché il “rimodellamento” è compiuto da un potere collettivo. Quindi la libertà di fare e rifare le nostre città, cioè “noi stessi”, è uno dei più preziosi e al contempo trascurati dei diritti umani.

Fin dal loro inizio le città si sono sviluppate sotto l’impulso della concentrazione geografica e sociale e dal surplus di capitale. Quindi l’urbanizzazione è sempre stato un fenomeno di classe, dato che il surplus è estratto da qualcuno a vantaggio di qualcun altro.

Se il lavoro è scarso e i salari elevati, o si induce la disoccupazione tramite innovazioni tecnologiche e attaccando le organizzazioni dei lavoratori, oppure nuove forze fresche vengono cercate nell’immigrazione, nell’esportazione di capitali e nella proletarizzazione di elementi fino ad allora indipendenti. Inoltre i capitalisti devono trovare nuovi mezzi d produzione e nuove risorse, il che genera una pressione crescente sull’ambiente. La ricerca di nuove materie prime è motivo di politiche neo-coloniali.

Se non c’è domanda nel mercato, allora nuovi mercati devono essere trovati attraverso l’espansione del commercio estero, promuovendo nuovi prodotti e stili di vita diversi, creando nuovi strumenti di credito per aumentare il consumo di stati e cittadini privati.

Alla fine se proprio nessuna barriera riesce ad essere superata, i capitalisti sono incapaci di reinvestire i loro profitti e l’accumulazione è bloccata, cio’ li lascia di fronte ad una crisi. In questo quadro secondo il parere di Harvey la città ha svolto un ruolo attivo nel permettere l’uscita dalla crisi tanto quanto lo è stato la spesa militare nell’assorbire il surplus di capitale.

Consideriamo innanzitutto il caso della Parigi del Secondo Impero. Il 1848 fu il primo chiaro esempio di crisi su vasta scala prodotta da eccesso di capitale “non reinvestito” e di eccesso di lavoro disponibile. Questa crisi condusse i lavoratori disoccupati e la borghesia utopica ad una sollevazione che si concluse con una decisa repressione da parte della borghesia repubblicana. Il risultato fu l’ascesa di Napoleone III che nel 1851 si proclamo’ imperatore. Questi si impegno’ in un vasto programma economico sia interno che esterno alla Francia (ferrovie, il canale di Suez, porti, acquedotti), ma soprattutto pianifico’ la riconfigurazione dell’infrastruttura urbana di Parigi, affidata a Georges-Eugene Haussmann nel 1853.

segue su: http://www.ossin.org/analisi-e-interventi/-il-diritto-alla-citta-alcuni-appunti.html

V.q

Le parole del Capitale Volume 1